Ancora una volta negli ultimi giorni si leggono di bambini
violati. Bambini picchiati e segnati per sempre. Bambini picchiati da adulti
che dovrebbero proteggerli, che sono pagati per farlo, che hanno conseguito
spesso un titolo di studio e superato una selezione per essere lì a difenderli
e a favorire la loro crescita.
Ancora una volta sento parlare dei nidi come parcheggi dei
bambini, come luoghi in cui l’importante è mangiare e rimettere a posto. Non si
può piangere, non si può correre, non si può urlare. Ridere non è proibito, è
solo impossibile farlo. E allora mi chiedo…. è davvero questa la realtà?
Da educatrice, da persona che lavora all’interno degli
asili, che ha vissuto sia la realtà del pubblico e quella del privato, posso
fortunatamente dire che non è così, o almeno, che la norma è un’altra. Il nido
è davvero nato per favorire il lavoro femminile, ma quanta strada è stata fatta
da allora! Quante ricerche, sperimentazioni! Quanti libri sono stati scritti,
quante innovazioni sono state introdotte! Il fine principale del nido è quello
di offrire a un bambino al di sotto dei 3 anni uno spazio tutto suo, dove poter
conoscere, esplorare, socializzare, crescere in maniera libera e sicura.
Quella sicurezza tante volte viene penalizzata da tagli al
bilancio e scelte gestionali: mi riferisco ai rapporti educatore/bambino più o
meno rispettati, alla scelta di arredi più o meno stabili, agli orari di lavoro
del personale, alla loro formazione. E’proprio in questi casi che la passione e
la professionalità di tanti colleghi viene fuori per sopperire queste carenze,
ma è una scelta di ogni singolo individuo. Ecco allora che ne viene fuori la forza
del lavoro di gruppo: condividere il carico emotivo che ogni giorno viene fuori
dall’interazione con i bimbi e i genitori alleggerisce e ridimensiona il
personale riportandolo su un piano professionale.
E’innegabile che la situazione dei servizi per l’infanzia
non è rosea e non sempre si riesce a reagire nel migliore dei modi: ansia e
nervosismo possono prendere la meglio, la motivazione può venire a mancare. Il
passo è breve: tutte le volte che si alza troppo la voce con un bambino gli si
fa violenza. Il nostro è un lavoro delicato: un tono di voce più aspro, un
gesto più brusco, una mancata attenzione fanno la differenza.
I giornalisti parlano sempre più spesso dell’introduzione di
telecamere per vigilare il lavoro degli educatori, ma a mio parere non è una
soluzione. Si tampona, si controlla, ma viene meno quel rapporto di fiducia che dovrebbe stare alla base del lavoro educativo e allo stesso tempo, come si mettono nei nidi, si dovrebbero mettere macchine anche in centri per gli anziani e disabili, in ospedale. Sarebbe un Grande Fratello.
Una maggiore formazione, il rispetto degli standard legislativi, un controllo più puntuale da parte degli organi preposti, un’omologazione della legislazione in materia, politiche di sostegno alla famiglia nucleare: queste sarebbero soluzioni.
Una maggiore formazione, il rispetto degli standard legislativi, un controllo più puntuale da parte degli organi preposti, un’omologazione della legislazione in materia, politiche di sostegno alla famiglia nucleare: queste sarebbero soluzioni.
Infondo anche risparmiare
sull’infanzia è una violenza sul futuro.
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