mercoledì 5 febbraio 2014

Il pranzo al nido

Un pranzo gustato in buona compagnia ha il potere di fermare il tempo
Penny Ritscher

Il pranzo è un momento centrale nella vita al nido, perché rappresenta una delle cosiddette routine, un momento della giornata che quotidianamente si ripete e scandisce i tempi. I bambini in questo modo hanno una bussola per orientarsi a livello temporale, comprendendo lo scandire delle attività.

Il pranzo assume un significato particolare anche per la sua valenza affettiva e relazionale. Si mangia tutti insieme, bambini, educatori, esecutori e cuochi. In questo clima di convivialità, si parla, si discute della giornata e delle pietanze che si sta mangiando. Una riflessione importante viene innanzitutto dal cibo: abituare sin dal nido a mangiare sano e in maniera varia è ormai un obbligo per chiunque abbia il compito di pianificare i menù. Si propongo ai bambini verdure, zuppe, piatti unici, in modo che ogni giorno possa provare una consistenza ed un gusto differente. Mettere in lista anche ricette di nazioni altre è una buona prassi per aprirsi verso tradizioni che non conosciamo: il cibo è cultura e tradizione e non si può chiudersi nella “maniera italiana” ad ogni costo. L’esempio degli adulti e degli altri compagni che mangiano di solito spingono il bambino ad assaggiare, ma se non ha proprio fame o si rifiuta di finire il piatto, che cosa fare? Si dovrebbe rispettare la sua scelta, perché il nido è un’agenzia educativa che non ha come finalità primaria quella di nutrire, ma quella di educare e in quel momento noi stiamo educando al pranzo, occupandosi della qualità del momento e non della quantità.

Sia Penny Ritscher sia Enzo Catarsi si sono occupati molto della tematica, cercando di trarne linee guida per organizzare il pranzo nella maniera più adeguata. Cercherò di riassumere i contenuti fondamentali di quello che ho ascoltato e letto dai due pedagogisti, tenendo sempre presente che l’organizzazione della routine deve essere ben preparata e condivisa da tutto il gruppo di lavoro. E’ l’occasione in cui tutti gli adulti del nido hanno un ruolo attivo e preciso e collaborare è fondamentale per la buona riuscita del pasto. L’obiettivo principale è l’autonomia: il bambino può e deve avere occasioni in cui impara a fare da solo, da gesti semplici ad azioni più complesse. E’ovvio che nella sezione dei Piccoli, il pranzo deve essere organizzato in maniera quasi personalizzata o comunque gestito soprattutto dalle figure adulte. Infondo il pranzo è come un’attività, essendo ricco di sensazioni tattili e olfattive, favorendo la manipolazione e la scoperta di nuove consistenze e di nuovi colori e permettendo un’acquisizione di abilità legate alla prassia fine e non (Ritscher, 2000). E poi per una volta: è consentito sporcarsi!

Foto di Joseph Choi
In fase progettuale, quindi, discutere di come raggiungere l’obiettivo è fondamentale per pianificare al meglio e innanzitutto devono essere decise le modalità di realizzazione, curando particolarmente gli spazi e l’attrezzatura. Sarebbe meglio avere a disposizione tavoli da 6 bambini circa e almeno un adulto; sarebbe funzionale avere piani di appoggio a portata di mano per potersi alzare il meno possibile; bisognerebbe utilizzare tovaglie e stoviglie nel classico stile “da trattoria”, piatti e posate a misura di bambino, vassoi da portata e formaggere che i bimbi possano utilizzare con facilità, cucchiai da portata di colore diverso rispetto a quelli personali, brocchette per versarsi da soli l’acqua. Insomma, l’ideale corrisponde a un target piuttosto alto, ma non impossibile da realizzare anche se confrontato a realtà in cui alcune condizioni sembrano inattuabili. Bisogna valutare il numero di adulti in turno nel momento del pranzo, considerare i costi di attrezzatura e pensare alla loro manutenzione. Insomma, un pranzo educativo non può essere improvvisato, ma deve essere una scelta consapevole da parte di tutto il gruppo di lavoro.

Altri punti su cui porre l’attenzione sono il tempo e la ritualità. Non si può pensare al pranzo come un momento frugale in cui ci si catapulta a tavola, si mangia in fretta e furia e poi si sparecchia altrettanto velocemente: viene il mal di testa solo a pensarci. Bisogna perdere tempo: è un dovere, che oltre a obbligarci a una salutare lentezza, renderà quel momento vissuto pienamente a livello emotivo e relazionale. In questo clima sarà più facile acquisire capacità, dalle più facili alle più complesse. Non pretendiamo dai bambini un’eccessiva pazienza, però: non ha senso tenerli seduti, senza far niente, dopo che hanno finito di mangiare, per tempi prolungati. La ritualità poi è alla base di qualsiasi routine ben organizzata sia per quanto riguarda lo svolgersi degli eventi, preferibilmente simile, sia per quanto riguarda veri e propri riti da associale al momento, come per preparare i bimbi a quello che verrà dopo. Questo però non vuol dire che le routine divengono statiche e sempre uguali: è dovere dell’educatore valutare e aggiustare il tiro, quando occorre. E’giusto che il bambino si orienti nella routine, ma pensate a un bimbo ad inizio e a fine anno: cambiano i bisogni educative, le autonomie raggiunte, le abilità fisiche. Senza la flessibilità, ogni routine perde di significato.

Uno dei momenti difficile da gestire e quello precedente al pranzo: dopo le attività, si va in bagno, ci si lavano le mani e poi se il carrello con il cibo non è ancora arrivato che si fa? Innanzitutto, si potrebbero informare i bimbi su cosa mangeranno: attraverso un pannello che ogni giorno mostri fotografie dei cibi (preparare le immagini è piuttosto semplice, visto che i menù di solito si ripetono) oppure mostrando delle carte fotografiche. Si potrebbe cantare una canzoncina sul pranzo. Ogni giorno poi un bambino per tavolo potrebbe apparecchiare e si potrebbero scegliere con un’estrazione a sorte, pescando le foto dei bimbi da un cestino, ad esempio. L’apparecchiatura la si può gestire differentemente: con tutto il gruppo già seduto (ogni bambino dovrebbe preferibilmente avere un posto assegnato) oppure subito dopo la lavatura delle mani ci si divide e i camerieri si fermano ad apparecchiare, mentre i compagni si siedono nell’angolo morbido a cantare una canzone.

Una volta preso il proprio posto, arriva il momento della sporzionatura. Se un adulto si occupa di suddividere il cibo in piccoli vassoi da portata, i bambini (medi e grandi ovviamente) sono capaci di servirsi da soli. Ci vuole una buona pianificazione, ma porta a buoni risultati. Lo stesso vale per l’acqua: se versata in piccole brocche, i bambini, dopo tanti “laghi”, riusciranno a centrare il bicchiere. Pensate alla soddisfazione che proveranno, una volta che riusciranno a farcela. Dopo l’attività, mettere a posto diventa il completamento di quello che abbiamo appena fatto: anche la mamma, dopo cena, sparecchia. Si possono predisporre grosse vaschette per raccogliere bicchieri e posate; si potrebbero buttare i bavagli in un cestino comune e impilare i piatti in una torre alta; buttare via gli scarti e aiutare a spingere il carrello. Anche la sparecchiatura è un buon modo per impiegare quei tempi morti, tra il pranzo e la nanna: i bimbi si rendono utili, non si agitano come accade spesso se lasciano giocare liberamente tutti insieme e si arriva ai preparativi per andare a letto in maniera più naturale.

Piccola Bibliografia:
L'alimentazione al Nido: un pranzo a misura di bambino, Assessorato Pubblica Istruzione Servizio Asilo Nido Firenze, Federazione italiana Medici Pediatri, 2008
Bisogni di cura al nido. Il pasto, il cambio, il sonno, Catarsi E. Baldini R, Edizioni del Cerro, 2008
Slow School. Pedagogia del quotidiano, Ritscher P., Giunti scuola, 2011
Cosa faremo da piccoli? Verso un'intercultura tra adulti e bambini, Ritscher P., Junior, 2000

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