Negli ultimi giorni sulle
pagine dei quotidiani nazionali è apparso un articolo su un video pubblicato su
Youtube: la protagonista è una bambina di un anno che usa il tablet della madre
in maniera naturale. Il fotogramma successivo la ritrae a cercare di modificare
le immagini da una rivista attraverso il touchscreen: la bimba non riusciva a
capire che bastava girare pagina. La didascalia elogiava l’episodio definendolo
l’ennesimo regalo a Steve Jobs.
Personalmente ho strabuzzato
gli occhi davanti al computer: mi chiedevo come fosse possibile. Se ci si pensa
è chiaro: questa bambina non ha mai visto un libro, non ha mai conosciuto
l’odore della carta, non ha mai ascoltato la voce della mamma leggere una
fiaba, non ha mai sentito il fruscio leggero delle pagine che girano e
cambiano…
Il libro è una metafora della vita: è una storia che inizia da un
foglio bianco ed è in eterno divenire, è una storia sempre viva negli occhi di chi
scorre le parole e di chi le conserverà nel cuore, è una storia che stimola i
pensieri. Da educatrice, cerco di promuovere il piacere alla lettura sin dalle
sezioni di Lattanti al nido: leggere le immagini non è meno importante di
leggere le parole.
Quello che manca alla bimba
che maneggia il tablet è porsi di fronte alla situazione in maniera creativa:
quel computer le ha insegnato come far funzionare un meccanismo che la porterà
a determinate conseguenze ma non le ha detto che qualche volta gli ingranaggi
si inceppano. Un libro invece non ti dice come usarlo: puoi saltare passaggi,
puoi usarlo per non far traballare una sedia, puoi scriverci sopra, puoi
rileggerlo da capo tutte le volte che vuoi. Ti poni di fronte al libro in
maniera aperta e fantasiosa perché tante volte è proprio il lettore a conferire
importanza a una storia: nessun autore, nessun soggetto è interessante in
maniera assoluta.
I contenuti dei computer
invece sono labili: si possono salvare o eliminare, copiare o incollare…
addirittura tagliare! Per un bambino in età prescolare questo è molto
destabilizzante: come fare a capire quali informazioni sono davvero importanti?
Quali sono quelle vere? Penso inoltre alla prassia: un libro si impugna, si
sfoglia, si piega, si porta con sè mettendo insieme l’esercizio di motricità
fine e grossa; nel caso del computer invece lo sforzo è minimo per le dita e
massimo per la vista.
In età scolare invece i
ragazzini acquisiscono una buona capacità di discernimento degli imput,
un’altrettanto buona capacità di astrazione dei concetti e una necessità
evidente in ambito scolastico. E’impensabile non fare usare il computer in
questa fascia di età. Conosciamo bene i vantaggi della posta elettronica, delle
videochiamate, dei blog: accorciano le distanze e facilitano le relazioni
sociali, per non parlare degli usi lavorativi.
Un bambino deve riuscire a
capire il funzionamento di questi media con l’appoggio degli adulti sia in
ambito formativo che educativo, ma non a discapito dei cari e vecchi mezzi di
diffusione del pensiero. In molte scuole si sono boicottati i libri di testo
per favorire la più economica e agevole soluzione delle dispense online.
I ragazzi di oggi comunicano
in maniera disinvolta attraverso i social network a discapito della lingua
italiana. Si taggano le foto online a discapito degli album di famiglia
tramandati di generazione in generazione. Si connettono da ogni parte del mondo
a discapito della meraviglia di trovarsi in ogni parte del mondo.
Forse sono una superstite
romantica che ama mandare cartoline dalle vacanze, che è cresciuta scrivendo un
diario e che aspettava con ansia le lettere dagli amici di penna sparsi in
tutta Italia. Eppure oggi pur continuando a fare queste cose mi sono adeguata aggiornando quotidianamente la pagina su Facebook, mandando e-mail e gestendo
un gruppo di discussione online. E penso che proprio l’integrazione delle
diverse pratiche sia la risposta.
Come vedo i giovani di oggi
alla mia età?
Ogni giorno con il mio
lavoro cerco di battermi perché non si impoveriscano nei contenuti, perché
hanno tanto da dare e pur avendo tanti trampolini di lancio non sanno come
utilizzarli, perché hanno un futuro sbarrato e pochi adulti che credono in
loro.
L’ambiente della scuola favorisce la rapidità e la fluidità di contenuti
e troppo spesso le domande dei ragazzi rimangono senza risposta. Le famiglie
sono sempre meno aiutate a sostenere e a gestire i tempi per la genitoralià. I
bambini rimangono sempre più di frequente da soli davanti a uno schermo.
Credo che il vero regalo per
Steve Jobs sia che quella bambina da grande diventi “foolish and hungry”, si
appassioni della vita. La passione e la voglia di stare insieme, unite a un
buon modello organizzativo possono essere una formula per salvare il mondo. Che
lo si scriva su un muro o su una bacheca di Facebook poco importa: l’importante
è che si continui a farlo.
Tratto da un mio intervento in E life (Cirone L., 2011), un interessante saggio sulla società computerizzata.